Davanti al suo piccolo caffè, in quell’angolo di città che Giovanni trovava tanto pittoresco, gli uomini di colore andavano e venivano, isolati, a coppie o a piccoli gruppi che a volte si scomponevano e si ricomponevano dopo un momento in un altro punto, come se obbedissero agli ordini di un regista invisibile.
«Questo fermento l’ho già visto – pensò Giovanni – fa pensare al secondo atto della Bohème. Eppure non siamo a Parigi, direi piuttosto che siamo in Africa.»
Nonostante la citazione Giovanni non era un uomo di teatro, anzi, era soltanto un imbianchino in pensione che ricordava la Bohème per averla vista addirittura 50anni prima, quando suo nonno l’aveva accompagnato al teatro dell’opera per la prima e unica volta nella sua vita. Da allora la Bohème era diventata il suo punto di riferimento obbligato per accostamenti e similitudini, citazioni e confronti.
Il caffè sfruttava un bellissimo spazio ombreggiato da platani giovani e odorosi sotto i quali i tavoli e le sedie verniciati di bianco raccoglievano i coriandoli di sole che le foglie lasciavano filtrare.
Quando arrivò Senegal con i suoi due compari e tutti e tre si sedettero al tavolo vicino al suo, Giovanni quasi non si accorse di loro, tanto era preso dalle sue fantasticherie di Bohème.
Soltanto quando udì che la loro conversazione verteva sulla tinteggiatura di una stamberga, nella zona, della quale erano riusciti ad ottenere l’uso in cambio di un affitto non altrettanto misero, Giovanni si incuriosì e cominciò ad ascoltare attentamente: era la sua materia, perbacco.
Conosceva quei negroni, come tra sé e sé gli piaceva definirli, per averli visti qualche volta gironzolare intorno al suo caffè, ma era una conoscenza che non arrivava neppure al “Buongiorno” “Buonasera”.
Con Senegal, invece, si era intrattenuto a parlare qualche volta venendo a sapere, della sua infanzia e della sua prima giovinezza in Africa, cose dolci e cose tristi, come sempre accade quando dai confidenza a un immigrato e, sentendolo saltare dalla malinconia alla rabbia mentre parla della sua terra, capisci che tanto deve amarla ma un po’ deve anche detestarla.
Si stupì, Giovanni, di sentirli parlare italiano, con risultati più che soddisfacenti da parte di Senegal, ormai padrone della lingua, goffi e a volte umoristici da parte degli altri due.
«Senti questi negroni, vuol dire che vengono da tribù diverse» pensò Giovanni con una sua scanzonata forma di irriverenza. Ma era un gioco tra sé e sé, senza cattiveria: parlando a loro non li avrebbe mortificati per nessuna ragione al mondo.
Gli altri trattavano di vernici e di pennelli, di scale e di ponteggi ma si muovevano su quegli argomenti, che per lui erano come il pane quotidiano, con tanta maldestra incompetenza che decise di intervenire:
«Scusa se ti interrompo, Senegal, ma tu e i tuoi amici siete proprio fuori strada.»
Senegal ebbe un guizzo furbo degli occhi mentre gli altri due si girarono verso Giovanni meravigliati per l’intrusione.
«Non è che io voglia fare il professore – proseguì – ma se non dovete pitturare un campanile scale e ponteggi non servono proprio a nulla.»
«Cosa ci consiglierebbe lei signor Giovanni?» lo interrogò l’uomo chiamato Senegal.
«Mah, se dovete tinteggiare quella topaia che credo di aver capito, andrebbero bene un paio di rulli. Non lo sapete che hanno inventato i rulli, qui da noi?»
«Certo che conosciamo i rulli, il problema è comprarli. Se però qualcuno ce li prestasse …»
Seguì una lunga pausa di silenzio durante la quale Giovanni rifletté che, almeno una volta, doveva aver detto che il suo mestiere, prima della pensione, era stato quello dell’imbianchino.
Certo che i rulli lui li aveva, e aveva anche tutta l’esperienza necessaria per organizzare quei ragazzi senza arte né parte nell’impresa che stavano progettando.
«Ci mancherebbe anche che mi mettessi a dar di bianco per il terzo mondo» pensava, infastidito da quella situazione mentre Senegal taceva e gli altri due confabulavano tra loro in un idioma incomprensibile.
Fu Senegal a rompere il silenzio con una domanda rivolta agli altri due:
«Sapete chi è questo signore che parla con noi così gentilmente?»
Siccome gli altri avevano scosso la testa in segno di diniego, proseguì:
«Il signor Giovanni, nel Rinascimento, sarebbe stato forse un grande artista perché‚ in quel tempo non c’erano i pittori e gli imbianchini. I grandi artisti erano uomini come lui, quasi sempre, come il signor Giovanni.»
Sorpreso e confuso ma anche lusingato Giovanni l’interruppe:
«Andiamo andiamo Senegal, questi sono complimenti belli e buoni. Un pittore è uno come Michelangelo, come Giotto, come Marcello.»
«Michelangelo lo conosco, Giotto anche, ma Marcello non l’ho mai sentito – disse uno dei due.
«Anch’io non l’ho mai sentito» disse l’altro.
A questo punto Senegal, con semplicità, spiegò:
«Marcello è il pittore della Bohème, l’amico di Rodolfo il poeta, di Schaunard il musicista e di Coline il filosofo. Marcello era l’amico della bella Musetta.»
Giovanni rimase letteralmente a bocca aperta per lo stupore e non poté trattenere un “Ostia, questo negro” che ebbe l’effetto di riscuotere l’altro, intento, forse, a inseguire una sua malinconica nostalgia di Bohème.
Giovanni cercò subito di rimediare:
«Scusami Senegal ma sono rimasto di sasso: come fai tu a sapere queste cose?»
«Beh, signor Giovanni, la Bohème non appartiene a voi Italiani solamente. E’ un capolavoro che appartiene a tutta l’umanità.»
«Ostia! – si lasciò sfuggire ancora Giovanni più incredulo che mai – Come fate a sapere queste cose voi giù di là?»
«Il fatto è che l’acqua potabile a Dakar c’è da un pezzo – disse Senegal sorridendo serenamente – I film arrivano prima là che al cinema Splendor qui all’angolo e la Bohème è forse il più bel dono che la vostra Italia abbia fatto alla nostra povera Africa.»
«Che figura ho fatto» pensò Giovanni, commosso, alzandosi.
Ma l’altro lo trattenne garbatamente per un braccio e gli chiese, quasi implorante:
«Verrà a darci un’occhiata, domattina, magari portando un rullo o magari due?»
Giovanni sapeva che il giorno successivo non sarebbe stato disponibile, avendo captato dai soliti segnali indiretti, che l’indomani, sabato, si faceva affidamento su di lui per la tinteggiatura di cucina e ripostiglio dell’appartamento accanto al suo, quello occupato dal figlio Mario e dalla nuora Monica.
Quando la moglie e il figlio avevano in mente di affidargli un’incombenza, non si sognavano neppure di interpellarlo apertamente e di chiedergli la sua disponibilità. Cominciavano invece a tessere tutta una trama di allusioni e ammiccamenti tra di loro, come si trattasse di una cosa scabrosa da sfiorare alla lontana, mai da affrontare direttamente.
«In ditta questo non succedeva – pensava sempre Giovanni -Non capisco perché, a casa mia, quando han bisogno di qualcosa da me, debbano fare tutto questo teatro.»
«Domani proprio non posso» rispose Giovanni risoluto e, per prevenire la petulanza abituale di quei negroni quando si incontravano in giro con le loro cassette cariche di calze, di stringhe e di accendini, aggiunse:
«Domani non posso, poi parto e sto via per il resto dell’estate.»
Si alzò, diede la buonasera e rapidamente si allontanò.
Mentre rientrava per la cena (quella sera erano ospiti del figlio e della nuora, conveniva arrivare puntuali) Giovanni ancora rifletteva su quel rituale di occhiate, allusioni e ammiccamenti che sempre precedevano la richiesta di una prestazione di lavoro a lui rivolta, da quando era in pensione.
Il fatto della cucina da imbiancare, per esempio, l’aveva captato da diversi segnali, inconfondibili per lui che non era uno sciocco, mandati dalla moglie al figlio e viceversa, nella totale noncuranza della sua presenza.
«Da un po’ di tempo mi trattano come se fossi l’uomo invisibile- pensava camminando verso casa – eppure mi sembra di non essermi mai tirato indietro, perdiana.»
Si era udito il figlio dire, fin dalla settimana avanti:
«Ci vorranno tutti i giornali vecchi. Attenzione a non buttarli via, nei prossimi giorni.»
E in un altro momento:
«La roba c’è tutta, ho controllato giù in cantina: è rimasta dall’altra volta e basterà.
E la moglie, furtivamente:
«Si fa sabato, così domenica è asciutto e lunedì è già tutto pulito.»
In questo modo, un modo che Giovanni giudicava più appropriato alla preparazione di una rapina che alla tinteggiatura di una cucina, aveva appreso che il lavoro si sarebbe svolto sabato e siccome era già venerdì sera cominciò a chiedersi quale cerimoniale avrebbero inscenato, di lì a poco, per prospettargli un lavoro che lui era dispostissimo a fare senza opporre la minima resistenza. Semplicemente avrebbe preferito che, per tempo, gli avessero chiesto:
«Ci dai una mano a dipingere la cucina, per favore, papà?»
Tutta la cena andò avanti normalmente e senza incidenti, anzi fu una bella cena, visto che Monica, la nuora, aveva un talento speciale per la cucina spiritosa, come lei stessa usava definire le sue trovate gastronomiche.
Per fortuna Monica non prendeva parte ai complotti abituali e per questo, ma non solo per questo, al suocero era molto simpatica.
In attesa del caffè Giovanni si chiedeva chi degli altri due avrebbe rotto il ghiaccio e cosa diavolo stessero aspettando, visto che ormai si era arrivati al dunque.
Fantasticando su questo sorrideva rosicchiando un grissino sovrappensiero.
Notò il saettare di due, tre occhiate tra la moglie e il figlio e poi fu quest’ultimo a esordire, con finta allegria:
«Ridi, ridi, papà. Riderai un po’ meno quando avrai sentito cosa avremmo pensato per domani.»
«Cosa avete pensato per domani?» chiese Giovanni fingendo la più grande curiosità.
«C’è una gran bella stagione, al mare si deve stare benissimo, e tu papà dici sempre che lavorare con noi è un problema. Allora sai cosa abbiamo pensato?»
«Avanti sentiamo»
«Abbiamo pensato che se per caso tu papà scegli domani per imbiancarci la cucina, noi e la mamma andiamo al mare e ti lasciamo tranquillo tutto il giorno. Prendiamo la macchina domattina presto e ti lasciamo in pace fino a domani sera.
«E’ un’idea» prese tempo Giovanni.
«Sì papà, l’imbianchino è un mestiere che proprio non mi piace, tu invece solo a guardati si capisce che ti diverti.»
«E’ un’idea» ripeté Giovanni per prendere ancora un po’ di tempo e quell’attimo gli fu sufficiente per decidere.
Si batté la fronte energicamente con il palmo della mano destra, come si fa per una dimenticanza grave. Alzatosi si diresse nell’altra stanza dicendo:
«Un momento solo, telefono.»
Richiuse accuratamente la porta di cucina alle sue spalle e formò il numero del bar.
«E’ ancora lì quel negrone che chiamate Senegal?»
«Un momento, guardo .. Senegal, telefono!»
«Hallo»
«Cosa vuol dire questa parola?»
«Vuol dire pronto.»
«Allora è meglio dire pronto addirittura. Sei tu Senegal?»
«Io sarei Gueye Serigne Saliou, ma qui mi chiamate tutti Senegal»
«Piccolezze. Basta intendersi. Piuttosto avete risolto per quell’imbiancatura?»
«Ma lei chi è, scusi?»
«Io sono Giovanni, l’imbianchino.»
«Il pittore, come Marcello.»
«Se preferisci.»
«L’imbiancatura dice? No che non abbiamo risolto, cosa vuol mai che risolviamo noi.»
«Se c’è ancora bisogno, io ci sono.»
«Davvero? – esclamò Senegal con entusiasmo – E mi chiama per questo, mi chiama proprio lei per dirmi questo?»
«Non c’è niente di strano – minimizzò Giovanni – non siamo mica in interurbana.»
«E verrà…con i rulli e tutto il resto?»
«No la tinta la comprate voi e non fatevi imbrogliare. Chiedete biacca comune, quella da meno. Se vi fate imbrogliare ricordatevi che non ci sto.»
Dall’altra parte del filo l’uomo chiamato Senegal non sapeva contenersi. Gli sembrava un regalo tanto grande da non poter, lui con il suo italiano, trovare le parole per dire grazie nel modo giusto.
Giovanni comprese l’imbarazzo e tagliò corto:
«Ci vediamo domattina alle otto davanti a quella vostra topaia. Buonanotte.»
Tornò in cucina e Mario subito riprese il discorso interrotto:
«Allora, papà…?»
«Allora che cosa?»
«L’imbiancatura della cucina.»
«Ah, già, l’imbiancatura. Purtroppo non posso. Domani mi è proprio impossibile.»
«Perché‚?»
«Perché‚ ho già dato parola a un altro, non posso tirarmi indietro.»
«Ma papà lo sapevi, ci tenevamo tanto!»
«Pazienza. Sarà per un’altra volta. Ma adesso andiamo a dormire che io a lavorare mi diverto, lo dite sempre, ma per voi domani sarà una giornata dura su quell’autostrada.»
Non gli era mai accaduto di prendere una decisione simile così all’improvviso.
Un po’ turbato com’era uscì dalla cucina senza guardare gli altri, volutamente. Incontrò solo per un attimo, un rapido sguardo d’intesa da parte di Monica, la nuora, sorridente e malizioso.
Sollevato, diede la buonanotte a tutti e andò a dormire.
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