Pippo Basset Hound

Una Polizza da Cani

Sono un basset-hound nato in Italia da genitori britannici, mite, tollerante, buono da caccia e da compagnia non disdegnando, all’occasione, le incombenze della riproduzione. Il mio nome, nonostante le ascendenze è, ironia, semplicemente Pippo. Sono un cane di razza purissima ma in questo non ho — lo riconosco — alcun merito. Debbo dire — anzi — che spesso la cosa mi disturba. Soffro della mia impeccabile posizione genetica, per esempio, nei rapporti con una cockerina tutto pepe che vive presso la ferramenta all’angolo della mia strada. È disinvolta, la bella creatura, e non si angustia minimamente delle larghe vedute che deve aver avuto la sua mamma, in fatto di razza, e forse anche la sua nonna. Sorride lei, sorride sempre e strizza l’occhio, sicché io, passando e ripassando davanti alla ferramenta, mi vengo a sentire assai spesso molto male, sapete com’è, specialmente di primavera.

Una volta, una volta sola, prendo il coraggio a due zampe, agguanto i miei certificati e corro da lei deciso a tutto. Spirava un venticello galeotto giù dalle colline che mi dico “stavolta o mai più″. Be’, quando stavo per concludere e c’erano da vincere ormai solo le ultime resistenze, cos’è che faccio? Le snocciolo sotto il naso il pedigree e gli altri certificati, che si dia una regolata, cosa devo fare?
E lei, cosa pensate che faccia lei? Lei a ridere, a ridere come una pazza sconsiderata che l’hanno sentita tutti i cani del vicinato. E sono corsi lì, tutti. E vi lascio immaginare la figura. Certe cose fanno male, credetemi, se poi ti ritrovi quella faccia da tontolone che la razza ti assegna, si soffre ancora di più. Non ci furono ossi, quella volta, capaci di consolarmi.
La padrona, che quanto a cuore ha un cuore d’oro, intuisce il momento difficile e mi fa “… e noi andiamo a farci una bella polizza, coraggio Pippo”.

Entriamo in agenzia e ci sediamo ad aspettare. Discutevano animatamente su una questione di bonus-malus, là dentro, uno meno esperto di me avrebbe detto che abbaiavano. Non capivo tutto perché in latino non sono gran che forte, ma non ero il solo a non capire. Quando arrivò il nostro turno ci fu un brutto momento per la mia padrona che dovette dichiarare reddito, affitto, progetti, abitudini di vita e, credo, anche circonferenza ai fianchi e al torace. (Elementi che la mia padroncina sarebbe stata desiderosa di fornire, come numero di telefono e, possibilmente, un piccolo appuntamento; non le furono richiesti). Alle sue timide proteste, il produttore affabilmente le fece notare: “Signorina, guardi che Lei in questo modo entra a far parte della élite ristretta dei proprietari di cani assicurati: persone della massima correttezza. Finora abbiamo solo l’Ambrogio Fogar”.
Al pensiero di Armaduk ebbi un lungo brivido, non saprei se di commozione o di freddo.
Capii che stavo entrando nell’olimpo dei VID (Very Important Dogs) e che, se fossi stato molto bravo, un giorno avrei potuto dar luogo addirittura all’emissione di una polizza italiana.
Si presentò in agenzia un dobermann collerico con la sua padrona per stipulare una R.C. Terzi, ma a questo punto neanche lo guardai: ramo povero, rischio di seconda categoria.

Ma qui viene il momento più brutto di tutta la trattativa, roba che è passata una settimana ma non riesco ancora a riprendermi. Il produttore (che credevo persona costumata ma sbagliavo; fanno bene a mandarli via tutti) comincia ad infilare una serie di domande trabocchetto, su quel problema che sapete, da lasciarmi di sasso. E i doppi sensi? Vi raccomando i doppi sensi! Parole come “tasso” e “copertura” hanno un significato preciso nel linguaggio assicurativo: così, almeno, ho sempre creduto. Provate a vedere i punti 13 usque 15 della proposta mod. B/13 e ditemi se un povero basset-hound deve mettere in piazza tutto per ottenere una copertura (pardon, una garanzia) assicurativa.
Dopo le foto e le firme (per non perdere l’abitudine della doppia firma, mi hanno fatto firmare la polizza con la zampa destra e con la zampa sinistra) l’affare fu concluso e ce ne andammo.
Ero un cane assicurato, finalmente, il solo della città. Credo immaginiate cosa significa. In breve tempo la notizia avrebbe fatto il giro del quartiere, così preferii darmi ammalato per qualche giorno, credo possiate comprendermi.
Quando una settimana dopo ho trovato la forza di uscire mi sono incamminato lentamente e con grande prudenza per la strada dirigendomi verso la ferramenta sull’altro marciapiede.
C’era.
Davanti alla ferramenta la piccola sciagurata c’era. Stava parlando con un bastardone dal pelo logoro e scomposto. Sciupatissimo. Sembravano felici. Anche lei sembrava felice. Soltanto per un attimo pensai di attraversare e di schiaffarle sotto il naso la polizza, ma poi mi trattenni. Mentre mi allontanavo non potei fare a meno di compatirli: erano entrambi scoperti di assicurazione.
E forse, a meno dell’intervento di un broker, non avrebbero mai potuto coprirsi.